Analisi non convenzionale
sulla riforma del fallimento.
A cura di Lorenzo Valentino Dottore commercialista
È stata approvata la nuova Legge di riforma del diritto fallimentare. Una legge che alla base deve dare l’idea agli imprenditori ed ai professionisti di una norma improntata ad un “diritto dolce”, più di accompagnamento e comprensione per chi è in difficoltà.
L’idea che ci vogliono vendere con questa riforma è che da oggi, si può “non riuscire” ma si può ripartire con dignità. La legge che, sarà bene ricordare, era ferma al 1942, dice “disperati mai, si può ripartire”. Contiene anche indicazioni utili da “fallimento temperato”, utilissimo in tempo di crisi e metamorfosi dei processi produttivi.
Il tutto assistito da un apposito organismo istituito presso le Camere di Commercio per analizzare la gravità della crisi aziendale. È il diritto dolce che prima accompagna e poi, solo poi, sanziona e punisce. Il che ci riporta alle piccole fredde passioni del rapporto tra diritto ed economia, qui intesa come evoluzione dei modelli del produrre e delle forme di impresa.
Ante riforma a richiedere il fallimento era il creditore del potenziale fallito. Oggi importante è riconoscere il nuovo soggetto attivo che può comunicare le allerte all’organismo preposto per la verifica sullo stato di salute dell’impresa: l’Agenzia delle Entrate.
La strategia è la stessa che predico e ripropongo da subito l’inizio della crisi. E’ la strategia dell’assedio. L’Agenzia delle Entrate verificato l’elevato debito fiscale promuoverà l’allerta all’organismo incaricato in CCIAA di analizzare il livello di insolvenza e dare massimo sei mesi per rimettersi in linea. In linea significa pagare il debito Erariale altrimenti si attiva:
la procedura fallimentare;
il sequestro conservativo dei beni;
la sospensione dell’autorizzazione al commercio con l’estero (vies);
la chiusura d’ufficio della partita iva;
l’impossibilità dell’amministratore di attivare una nuova società di capitali.
Il lavoro sarà facile se si pensa che l’Agenzia delle Entrate è titolata a verificare le giacenze dei conti corrente e la titolarità di tutti i beni mobili ed immobili dell’impresa e dell’imprenditore. Le nuove norme di salvaguardia del credito erariale (sequestro conservativo preventivo) sin prima che l’accertamento dell’attività concorsuale porti al fallimento vero e proprio metterà l’imprenditore in una posizione nuova. In questo modo prima della certezza dell’esito di una segnalazione di fallimento o di un accertamento impugnato in commissione tributaria l’imprenditore sarà spossessato della potestà di disporre dei beni sicuramente utili a risolvere la crisi. Ieri un bravo imprenditore continuava a pagare gli stipendi vendendo i beni del suo patrimonio, continuava a produrre per ritrovare un equilibrio finanziario che lo facesse uscire dal tunnel della crisi. Oggi occorre ricercare un nuovo “equilibrio” se non ci si vuole svegliare accerchiati ed impossibilitati a dirimere la crisi.
Buon lavoro